IL TRIBUNALE 
 
1. Fatto e svolgimento del processo. 
    A seguito di citazione «diretta»  del  pubblico  ministero,  B.D.
veniva tratto a giudizio a avanti a questo  giudice  monocratico  del
dibattimento per rispondere dei reati in epigrafe indicati  (come  da
capo di imputazione). 
    Alla prima udienza (c.d. «filtro»),  l'imputato  -  non  comparso
senza  addurre  alcun  legittimo  impedimento  -  veniva   dichiarato
contumace. 
    Il giudice dichiarava aperto il dibattimento e, a  seguito  delle
richieste delle parti, pronunciava ordinanza  (ex  artt.  190  e  495
c.p.p.) con cui ammetteva le prove dichiarative e documentali. 
    Infine, disponeva il rinvio  del  processo  -  per  l'istruttoria
dibattimentale - all'udienza del 1° ottobre 2013 ore 9,15  avanti  al
Tribunale di Torino (ufficio che accorpera' il Tribunale di  Pinerolo
dopo il 13 settembre 2013, per  effetto  del  decreto  legislativo  7
settembre 2012, n.  155).  Il  giudice  disponeva  peraltro  che  non
fossero citati i testimoni ammessi, non essendo possibile individuare
l'aula (del Tribunale di Torino) in  cui  si  dovrebbe  celebrare  il
processo, in assenza fino ad ora di qualunque indicazione - pur  gia'
formalmente richiesta dal Presidente di questo Tribunale -  da  parte
dell'ufficio accorpante. 
    A  questo  punto,  subito  dopo  l'indicazione   della   data   e
dell'ufficio  giudiziario  di  rinvio  del  processo   il   difensore
dell'imputato  chiedeva  un  breve  differimento  del  processo   per
proporre questione di legittimita' costituzionale. 
    All'odierna udienza del  19  marzo  2013,  dopo  che  il  Giudice
confermava il provvedimento di rinvio del processo all'udienza del 1°
ottobre 2013 ore 9,15 avanti al Tribunale di Torino, l'avv. Francesca
Chialva formulava oralmente (e mediante deposito di memoria  scritta)
«eccezione di incostituzionalita' dell'art. 1  legge  n.  148/2011  e
degli artt. 1 e segg. decreto legislativo  n.  155/2002  (laddove  e'
stato tra l'altro prevista la  soppressione  del  Tribunale  e  della
Procura della Repubblica di Pinerolo e il loro accorpamento  dopo  il
13 settembre 2013 al Tribunale e alla  Procura  della  Repubblica  di
Torino), per contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 70, 72, 76,  77,  81,
97 e 108 della Costituzione». 
    Il Pubblico Ministero si associava all'eccezione proposta. 
    Il giudice scrivente  si  ritirava  in  camera  di  consiglio  e,
all'esito, pronunciava la seguente ordinanza. 
2. Le disposizioni impugnate. 
    Il giudice scrivente, in accoglimento delle eccezioni proposte ma
in ogni caso anche d'ufficio (stante  la  manifesta  fondatezza  ictu
oculi, per  come  si  dira'),  ritiene  che  siano  rilevanti  e  non
manifestamente infondate  la  questione  di  legittimita'  di  quelle
disposizioni del decreto legislativo n. 155/2012 e della legge-delega
n. 148/2011 che comportano la soppressione - dal 13 settembre 2013  -
degli uffici giudiziari (Tribunale e Procura) di Pinerolo, e il  loro
accorpamento  agli  omologhi  uffici  giudiziari  di  Torino  (e  che
impongono altresi' il rinvio dei processi, dopo il 13 settembre 2013,
avanti al Tribunale di Torino): 
        1) la questione di legittimita' costituzionale degli artt.  1
e 9 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n.  155,  relativamente
all'inclusione del  Tribunale  di  Pinerolo  e  della  Procura  della
Repubblica di Pinerolo nell'elenco di cui alla tabella  A)  allegata,
con conseguente soppressione di tali uffici e  loro  accorpamento  al
Tribunale e alla Procura della Repubblica di Torino, e  relativamente
all'obbligo di fissare le udienze successive  al  13  settembre  2013
avanti al Tribunale di Torino: per contrasto con gli artt. 76, 3, 24,
25 e 97 della Costituzione; 
        2) la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1
della  legge  14  settembre  2011,  n.  148,  di   conversione,   con
modificazioni del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138,  per  essere
stata emanata la legge-delega in violazione degli artt. 70,  72,  76,
77 e 81 della Costituzione. 
3. La non manifesta infondatezza delle questioni. 
A) Illegittimita' degli artt.  1,  2  e  9  del  decreto  legislativo
delegato 7 settembre 2012, n. 155. 
    Art.  1,  relativamente  all'inclusione  del  Tribunale  e  della
Procura della Repubblica di Pinerolo nell'elenco di cui alla  tabella
A) allegata al medesimo decreto legislativo n. 155/2012,  laddove  si
prevede che tali uffici vengano soppressi e accorpati al Tribunale  e
alla Procura della Repubblica  di  Torino;  e  art.  9  comma  1  (in
relazione all'art. 2) decreto legislativo  n.  155/2012,  laddove  si
prevede che le udienze fissate dopo la data di efficacia del medesimo
decreto legislativo delegato (13 settembre 2013) siano fissate avanti
all'accorpante Tribunale di Torino: per contrarieta' di  entrambe  le
disposizioni all'art.  76  della  Cost.  [in  relazione  al  disposto
dell'art. 1 comma 2° lett. b), d) ed e) legge delega n.  148  del  14
settembre 2011] e per contrarieta' agli artt. 3, 24, 25 1° comma,  97
2° comma Cost. 
    L'art. 1 del decreto legislativo n.  155  del  7  settembre  2012
prevede  che  «Sono  soppressi  i  tribunali  ordinari,  le   sezioni
distaccate e le procure  della  Repubblica  di  cui  alla  tabella  A
allegata  al  presente  decreto»;  nell'elenco  della  tabella  A  e'
compreso il Tribunale di Pinerolo, che viene accorpato  al  Tribunale
metropolitano di Torino. 
    L'art. 9 comma 1 periodo decreto legislativo n. 155/2012  recita:
«Le udienze fissate dinnanzi  ad  uno  degli  uffici  destinati  alla
soppressione per una  data  compresa  fra  l'entrata  in  vigore  del
presente decreto e la data di efficacia di cui all'art.  11  comma  2
[quest'ultima «...decorsi  dodici  mesi  dalla  data  di  entrata  in
vigore»: id est 13 settembre 2013]  sono  tenute  presso  i  medesimi
uffici. Le udienze  fissate  per  una  data  successiva  sono  tenute
dinnanzi all'ufficio competente a norma dell'art. 2». 
    Il provvedimento di soppressione del Tribunale di Pinerolo  e  di
accorpamento al Tribunale di  Torino -  e  le  disposizioni  connesse
circa l'obbligo di fissare le udienze post 13 settembre  2013  avanti
al Tribunale di Torino - appare allo scrivente in clamoroso contrasto
con le disposizioni della stessa legge delega ed in  particolare  con
l'art. 1 comma 2° lett. b), d), e) legge n. 148/2011: contrasto che -
per come si vedra' - emerge tra  l'altro  non  solo  sulla  base  dei
«lavori preparatori»  e  segnatamente  dei  numerosissimi  pareri  di
organi politici e tecnici che a vario titolo  sono  stati  consultati
durante l'iter (e prima) dell'approvazione del decreto legislativo n.
155/2012; ma anche, si badi bene, incredibilmente, sulla  base  della
stessa «interpretazione autentica» (peraltro obbligata) che e'  stata
fornita  dallo  stesso  Ministro  della  Giustizia  nella   Relazione
ufficiale di accompagnamento del decreto legislativo n. 155/2012. 
    L'art. 1 comma 2  lettera  b)  della  legge  delega  n.  148/2011
prevede che la ridefinizione delle circoscrizioni giudiziarie avvenga
«secondo   criteri   oggettivi   e   omogenei   che   tengano   conto
dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti dei carichi
di lavoro e  dell'indice  delle  sopravvenienze,  della  specificita'
territoriale dei bacini di utenza, anche con riguardo alla situazione
infrastrutturale,  e  del  tasso  di   impatto   della   criminalita'
organizzata, nonche' della necessita' di razionalizzare  il  servizio
giustizia nelle grandi aree metropolitane»; la  lett.  d)  indica  al
Governo di «procedere alla soppressione ovvero alla  riduzione  delle
sezioni distaccate  di  tribunale,  anche  mediante  accorpamento  ai
tribunali limitrofi, nel rispetto dei criteri di cui alla lett.  b)»;
la  lett.  e)  indica  come   «prioritaria   linea   di   intervento»
[nell'attuazione di quanto previsto anche dalle lett. b)  e  d)]  «il
riequilibrio delle attuali competenze  territoriali,  demografiche  e
funzionali  tra  uffici  limitrofi  della  stessa  area   provinciale
caratterizzati da rilevante differenza di dimensioni». 
    Avuto riguardo all'art. 1 comma 2 lett. b)  e  d),  il  principio
«direttivo» di primaria importanza nella  revisione  della  geografia
giudiziaria  (il  «primo»  principio,   addirittura   gerarchicamente
sovraordinato  a  tutti  gli  altri  tanto  da  essere  indicato  dal
delegante al delegato come  «prioritaria  linea  di  intervento»)  e'
dunque quello della razionalizzazione del  servizio  giustizia  nelle
grandi aree metropolitane (Roma, Milano, Napoli, Torino  e  Palermo),
che deve essere necessariamente realizzato (e cosi' e' stato,  tranne
che nel caso di Pinerolo) mediante  decogestionamento  del  tribunale
metropolitano (nel caso di specie di Torino),  con  trasferimento  di
carichi sugli uffici giudiziari limitrofi della  stessa  provincia  e
aumento delle dimensioni di questi  (Pinerolo  si  trova  infatti  in
provincia di Torino). 
    Il  principio  di   decongestionamento   dei   grandi   Tribunali
metropolitani (Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo) -  unanimemente
(e  dalla   legge-delega)   ritenuto   obiettivo   «prioritario»   da
perseguirsi  nell'ottica   della   razionalizzazione   del   servizio
giustizia - affonda le proprie radici gia'  nel  decreto  legislativo
491 del 3 dicembre 1999 (in esecuzione dell'art. 1 legge  delega  155
del 5 maggio 1999), a seguito del quale era derivato, nella provincia
di Torino, l'ampliamento (con sgravio del Tribunale  di  Torino)  dei
due Tribunali sub-provinciali/sub-metropolitani di Ivrea e  Pinerolo,
i  quali  costituiscono  i  due  pilastri  per  realizzare  lo  scopo
legislativo, perseguito da molti  anni  ed  oggi  incomprensibilmente
disatteso,  di  ridurre  il  contenzioso  che  grava  sul   Tribunale
metropolitano di Torino. 
    L'obiettivo della riforma di cui oggi ci occupiamo e' reso palese
in tal senso dalla lettera della legge ed  ulteriormente  esplicitato
nella relazione  finale  al  12  marzo  2012  del  Gruppo  di  lavoro
istituito il 13 ottobre 2011 dal Ministero  della  Giustizia  per  la
revisione delle circoscrizioni  giudiziarie  (doc.  3  memoria  parte
civile) , laddove (pag. 34 e ss.) e' data contezza alla «specificita'
delle  grandi   aree   metropolitane,   che   impone   al   fine   di
decongestionare i relativi uffici giudiziari,  la  ridefinizione  dei
territori,  mediante  sdoppiamento  degli  uffici  troppo  grandi  ed
accorpamento  delle  aree  che  attualmente  gravano  sui   Tribunali
metropolitani  agli  uffici  limitrofi».  Detta  necessita',  che  la
commissione  ministeriale  riconosce  esser  stata  da  tempo  tenuta
presente dal legislatore, potrebbe efficacemente (sempre  secondo  la
commissione  stessa)  esser  rispettata   «mantenendo   i   Tribunali
sub-provinciali adiacenti alle grandi aree  metropolitane,  sia  pure
intervenendo con accorpamenti di territorio a vantaggio dei tribunali
sub-provinciali. Una diversa soluzione con soppressione dei  suddetti
uffici imporrebbe di riversare sull'unico tribunale metropolitano  il
carico di lavoro dell'ufficio soppresso,  con  cio'  determinando  un
ulteriore congestionamento di uffici  gia'  oltremodo  gravati;  cio'
sarebbe chiaramente in contrasto con gli obiettivi della legge-delega
che, tra l'altro, si propone appunto di  razionalizzare  il  servizio
delle grandi aree metropolitane» (pag. 36). 
    Ma non basta. Le finalita' perseguite  dalla  legge  n.  148/2011
sono definitivamente  acclarate  dalla  relazione  ministeriale  allo
schema del decreto legislativo licenziato dal Consiglio dei  ministri
lo scorso  10  agosto  2012  (disponibile  sul  sito  del  Ministero:
giustizia.it/strumenti/attivita' normative: doc. 1 parte civile). 
    Nella detta relazione si legge icasticamente (pag. 7,  cap.  1.4,
appunto denominato «Le grandi aree metropolitane»): 
    «La necessita' prioritaria in tutte le grandi aree  metropolitane
e' senza dubbio quella di  procedere  ad  un  decongestionamento  dei
carichi. Tale obiettivo,  in  ottemperanza  a  quanto  specificamente
indicato dalla legge delega (art. 1 comma 2 lett. b:  "razionalizzare
il servizio giustizia nelle  grandi  aree  metropolitane")  e'  stato
perseguito attraverso tre fondamentali scelte operative: 
        a) impedire accorpamenti di Tribunali sub-provinciali alle  5
grandi aree metropolitane (Roma, Napoli, Milano, Torino e Palermo); 
        b) favorire, ove possibile e  ragionevole  l'accorpamento  di
territori  delle  sezioni  distaccate  metropolitane   ai   tribunali
limitrofi». 
        c) ... (omissis). 
    Rispetto a tali enunciati, verrebbe da dire ... In claris non fit
interpretatio... 
    Non vi sono invece parole per descrivere - di fronte  a  siffatte
affermazioni  scritte  del  Ministro  della  Giustizia  assolutamente
inequivoche  (perche'  inequivoco  era  il   tenore   del   principio
«specificamente indicato» dalla legge-delega) -  lo  stupore  che  si
prova nel rinvenire, nella lista dei soppressi (tabella A allegata al
decreto n. 155/2012) il Tribunale di Pinerolo, che (non si  comprende
come cio' possa  essere  inopinatamente  sfuggito  al  Consiglio  dei
ministri) e' uno dei due Tribunali submetropolitani  che  si  trovano
nella medesima provincia  (Torino)  del  Tribunale  metropolitano  di
Torino. 
    Ed appare ancora piu' sorprendente e' che il Governo abbia  agito
in spregio di tale principio direttivo delle legge-delega (pur  dallo
stesso  Ministro   giustamente   sottolineato   nel   suo   carattere
«specifico» e «vincolante») e  abbia  deciso  la  soppressione  degli
uffici giudiziari di Pinerolo e il  loro  accorpamento  a  quelli  di
Torino ignorando (oltre al gia' richiamato parere  della  Commissione
consultiva ministeriale) una serie impressionante di pareri  contrari
alla  scelta  che  qui  si  censura,  essendosi  espressi  contro  la
soppressione del Tribunale di  Pinerolo  (non  per  apprezzamento  di
opportunita' ma  appunto  richiamando  il  Governo  al  rispetto  del
principio di decongestionamento delle aree metropolitane): 
        1) Consiglio  Giudiziario  presso  la  Corte  di  Appello  di
Torino, adunanza 17 luglio 2012,  su  richiesta  e  in  funzione  del
parere della Commissione  Giustizia  della  Camera  dei  deputati,  e
recependo integralmente le osservazioni del Presidente del  Tribunale
di Pinerolo (docc. 4 e 5 memoria parte civile); 
        2) implicitamente lo stesso CSM, plenum 26  luglio  2012,  in
particolare ove si richiamano  pareri  CSM  22  dicembre  1998  e  18
ottobre 1999, in  relazione  alla  necessita'  di  decongestionare  i
tribunali metropolitani, tra i quali si annovera Torino, con cessione
di territorio  ai  tribunali  sub  metropolitani,  e  segnatamente  a
Pinerolo; 
        3)  Procura  della  Repubblica  di  Torino  e  dalla  Procura
Generale della Repubblica di Torino (intervento  predisposto  per  le
Commissioni Giustizia della Camera  dal  Procuratore  aggiunto  dott.
Vittorio Nessi; missiva del Procuratore Generale del Piemonte e Valle
d'Aosta dott. Marcello Maddalena  alla  Commissione  Giustizia  della
Camera: citato a punto 3 lett. a) del  parere  Commissione  Giustizia
della Camera dei deputati 1° agosto 2012); 
        4)  ANM,  v.  intervento  predisposto  per   l'audizione   in
Commissione Giustizia, riportante indicazione criticita' della scelta
operata con la predisposizione dello  schema  governativo  in  ordine
alla soppressione del Tribunale di Pinerolo (paragrafo n. 8 pag. 10); 
        5) CNF v. intervento rassegnato  alla  Commissione  Giustizia
Senato, in fase di audizione il  19  luglio  2012  (paragrafo  n.  6:
«mancato   esercizio   della   legge   delega   nelle   grandi   aree
metropolitane»); 
        6) Commissione Giustizia del Senato: parere espresso circa lo
schema di decreto legislativo governativo  in  data  31  luglio  2012
(doc. 13 parte civile); 
        7) Commissione Giustizia della Camera: parere espresso  circa
lo schema di decreto legislativo governativo in data 1°  agosto  2012
(doc. 12 parte civile). 
    Ad es., un organo tecnico particolarmente  qualificato  quale  il
Consiglio Giudiziario della Corte di appello di Torino  (si  rammenta
composto dal Presidente della  Corte  di  appello  di  Torino  e  dal
Procuratore  Generale  presso  la  medesima  Corte  di  appello)   ha
espresso, in data 17 luglio  2012,  su  richiesta  della  Commissione
Giustizia della Camera, parere favorevole  sulle  scelte  operate  in
relazione alla soppressione di tutti i restanti uffici giudiziari del
Piemonte (ben sei: Alba, Saluzzo, Mondovi', Acqui  Terme,  Tortona  e
Casale Monferrato),  e  ha  espresso  parere  contrario  soltanto  in
relazione alla soppressione degli uffici giudiziari di  Pinerolo  «in
quanto contraria ai criteri informatori della legge delega»  relativi
al decongestionamento delle aree metropolitane, recependo  sul  punto
integralmente le osservazioni dei Dirigenti  del  Tribunale  e  della
Procura di Pinerolo. 
    La Commissione Giustizia della Camera, nel gia' citato parere  1°
agosto 2012, scrive testualmente: 
    «3) Tribunali non suscettibili  di  essere  soppressi  in  quanto
necessari per decongestionare le aree metropolitane:  La  Commissione
ha altresi' rilevato  che  il  criterio  di  delega  secondo  cui  la
ridefinizione della geografia giudiziaria doveva  essere  realizzato,
anche mediante trasferimento di territori dall'attuale circondario  a
circondari limitrofi, anche al fine  di  razionalizzare  il  servizio
giustizia nelle grandi aree metropolitane, non e' stato adeguatamente
attuato. In particolare si e' rilevato  che:  a)  nel  distretto  del
Piemonte e Valle d'Aosta e' necessario il mantenimento del  Tribunale
di  Pinerolo,  previo  accorpamento  dei   territori   limitrofi   ed
omogenei». 
    Infine, anche dopo la pubblicazione del  decreto  legislativo  n.
155/2012, sono state presentate  numerose  mozioni  parlamentari  con
invito al Governo ad adottare un decreto correttivo urgente ex art. 1
comma 5 decreto legislativo n. 155/2012, con immediato ripristino del
Tribunale di Pinerolo illegittimamente soppresso in violazione  della
legge-delega e segnatamente del principio di  decongestionamento  del
tribunale metropolitano (Docc. 18, 19, 20 e 21 memoria parte civile): 
        nella mozione 1/01148 del 25 settembre  2012  (Gruppo  Popolo
della Liberta') si invita il Governo  a  dare  attuazione  all'appena
testualmente citato parere 1° agosto 2012 della Commissione Giustizia
della Camera, dove si affermava che era obbligatorio il  mantenimento
del Tribunale di Pinerolo (doc. 19); 
        nella mozione 1/01178 del 23 ottobre 2012  (Gruppo  Popolo  e
Territorio), si legge che il decreto legislativo n. 155/2012  non  ha
rispettato - con  riferimento  alla  soppressione  del  Tribunale  di
Pinerolo  -   il   principio   di   decongestionamento   delle   aree
metropolitane sancito dalla legge delega e ribadito nella gia' citata
Relazione di accompagnamento del Ministro della Giustizia; 
        nella mozione 1/01207 del 20 dicembre  2012  (Gruppo  Partito
Democratico), si legge testualmente: «La  soppressione  degli  uffici
giudiziari di Pinerolo, a differenza delle scelte operate in tutte le
altre aree dei tribunali metropolitani - ove si sono mantenuti  e  in
alcuni casi ampliati gli uffici  giudiziari  submetropolitani  -  non
solo contrasta con i principi  della  legge-delega  con  riguardo  ai
criteri previsti in relazione alla necessita'  di  razionalizzare  il
servizio  giustizia  nelle  «grandi  aree   metropolitane»,   ma   e'
incoerente con tutti i  parametri  indicati  dalla  stessa  relazione
ministeriale che accompagna il provvedimento» (relazione ministeriale
il cui contenuto si e' gia' riportato nella presente ordinanza). 
    In definitiva, lo  scrivente,  confortato  da  tutte  le  unanimi
interpretazioni fornite da  tutti  coloro  che  si  sono  pronunciati
sull'applicazione del  principio  «prioritario»  della  legge  delega
relativo alle grandi -aree metropolitane - e  soprattutto  confortato
da  quanto  affermato   nella   stessa   relazione   governativa   di
accompagnamento - e in assenza anche soltanto di un pronunciamento di
segno contrario (in  ipotesi  favorevole  alla  scelta  soppressiva),
ritiene che la prevista soppressione  del  Tribunale  di  Pinerolo  e
della Procura della  Repubblica  di  Pinerolo  (con  accorpamento  al
Tribunale e alla Procura della Repubblica  di  Torino)  si  ponga  in
chiaro  contrasto  con  le  lett.  B)  e  D)  dell'art.  1  comma   2
legge-delega n. 148/2011. 
    Al  fine  di  perseguire  il  decongestionamento  del   Tribunale
metropolitano di Torino, il Governo era obbligato - per  effetto  del
vincolo ineludibile di legge-delega - al mantenimento  del  Tribunale
di Pinerolo e ad  aumentarne  il  bacino  di  utenza,  mentre  poteva
esercitare la sua discrezionalita' soltanto  in  ordine  al  tipo  di
incremento (di competenza, territori e popolazione) e in  particolare
all'eventuale accorpamento di  territori  gia'  facenti  parte  delle
sezioni distaccate del Tribunale di Torino: come afferma la relazione
ministeriale, la legge delega prevede un criterio rigido e vincolante
che «impedisce» l'accorpamento al  tribunale  metropolitano  -  nella
specie Torino - del tribunale submetropolitano della stessa provincia
(Pinerolo); ed un criterio soltanto elastico  e  discrezionale  («ove
possibile   e   ragionevole»)   di    accorpamento    al    tribunale
submetropolitano  delle  sezioni  distaccate  ora  «in   carico»   al
tribunale metropolitano. 
    In ogni caso, posto che il quantum  di  incremento  puo'  formare
oggetto soltanto di scelta discrezionale del legislatore  (delegato),
questo giudice deve limitarsi a censurare (chiedendo una pronuncia di
accoglimento  parziale)  la  sola  scelta   ablativa   degli   uffici
giudiziari di Pinerolo, di per se' incontrovertibilmente in contrasto
con la legge-delega. 
    La previsione legislativa di soppressione degli uffici giudiziari
di Pinerolo, avvenuta in contrasto con le citate  disposizioni  della
legge-delega,  viola  dunque  l'art.  76  della  Costituzione   circa
l'obbligo di rispetto dei  principi  direttivi  posti  nell'esercizio
della funzione legislativa delegante  (c.d.  Incostituzionalita'  per
eccesso o violazione di legge- delega «norma interposta»). 
    Le impugnate disposizioni del decreto legislativo n. 155/2012  si
pongono altresi'  in  contrasto  con  l'art.  3  della  Costituzione,
essendo stata operata una illegittima e irragionevole  disparita'  di
trattamento fra situazioni identiche,  che  si  traduce  tra  l'altro
nella  violazione  di  altro  criterio  della  legge-delega  (e,  per
effetto, dell'art. 76 della Costituzione), e in particolare dell'art.
1 comma 2 lett. B) legge n. 148/2011 laddove e' imposto che l'assetto
territoriale  degli  uffici  giudiziari  venga   ridefinito   secondo
«criteri oggettivi ed omogenei», fra cui «numero di abitanti, carichi
di lavoro, indice delle sopravvenienze»:  criteri  ritenuti,  a  buon
diritto, preminenti nella relazione del gruppo di studio ministeriale
(v.  pag.  23)  per  le   loro   caratteristiche   di   «pubblicita',
incontrovertibilita' e pre-elaborazione» (e nei quali e' lapalissiana
la preoccupazione del delegante che il delegato si attenga, prima  di
tutto,  al  rispetto  del   supremo   principio   costituzionale   di
eguaglianza). 
    Pinerolo e' infatti l'unico ufficio  giudiziario  sub-provinciale
di area  metropolitana  (Torino)  soppresso  in  Italia,  laddove  il
decreto legislativo n.  155/2012,  facendo  giusta  applicazione  dei
criteri e dei principi  direttivi  della  legge  delega  (cosi'  come
esplicitati e concretizzati nella stessa relazione  ministeriale)  ha
mantenuto  e/o  addirittura  ampliato  (mediante  accorpamento  delle
sezioni  distaccate)  tutti  i  restanti   Tribunali   subprovinciali
contigui alle altre grandi aree metropolitane (Roma, Milano,  Napoli,
Palermo). 
    Per  di  piu',  la  situazione  di  totale  irragionevolezza  del
«servizio  giustizia»  nella  provincia  di  Torino   -   conseguenza
dell'illegittima  scelta  dell'esecutivo  -   appare   immediatamente
apprezzabile da una facile lettura dei numeri. 
    In primo luogo si deve rilevare come la provincia di Torino abbia
un bacino di utenza pari a circa la  meta'  della  popolazione  della
Regione Piemonte: 2.209.593 abitanti su  una  complessiva  utenza  su
base regionale di 4.494.375 (i dati menzionati - cosi' come gli altri
di seguito indicati relativi alla popolazione  -  sono  tratti  dalla
scheda analitica del distretto  di  Torino  allegata  alla  relazione
accompagnatoria dello schema di decreto legislativo  oggi  censurato:
doc. 2 allegazioni parte civile). 
    Ed invero,  l'attuale  «fotografia»  (pre-riforma)  degli  uffici
giudiziari della provincia di Torino in considerazione del bacino  di
utenza e' la seguente: 
 
                         Tribunale di Torino 
 
    Sede centrale - 1.103.660 
    Sez. distaccata di Chivasso - 175.965 
    Sez. distaccata di Cirie' - 169.911 
    Sez. distaccata di Moncalieri - 236.173 
    Sez. distaccata di Susa - 118,064 
    Popolazione totale - 1.803.773 
 
                        Tribunale di Pinerolo 
 
Popolazione totale - 216.415 
 
                         Tribunale di Ivrea 
 
Popolazione totale - 189.405 
    Sulla base della tabella A allegata al decreto delegato, la nuova
«fotografia» degli uffici giudiziari provinciali sarebbe invece: 
 
               Tribunale di Torino sede unica centrale 
(con accorpamento Pinerolo e sezioni distaccate di Moncalieri e Susa) 
 
Popolazione totale - 1.692.631 
 
                         Tribunale di Ivrea 
     (con accorpamento sezioni distaccate di Chivasso e Cirie') 
 
Popolazione totale - 516.962 
    La proposta del Governo, dunque, contempla non soltanto, in linea
con  la  scelta  «omogenea»  operata  sul  territorio  nazionale,  la
soppressione delle quattro sedi distaccate del Tribunale  di  Torino,
ma sopprime il secondo Tribunale provinciale per numero  di  abitanti
(attualmente il quarto nel distretto  per  popolazione  dopo  Torino,
Alessandria e Novara) prevedendo che meta' della numerosa popolazione
residente nella Regione Piemonte sia ripartita  su  due  soli  uffici
giudiziari, tra cui uno di dimensioni eccezionali (Torino) che, nella
sede  centrale,  vedrebbe  confluire  un  incremento  di  contenzioso
relativo ad un bacino di utenza aggiuntivo di circa 590.000 abitanti,
e comunque (pur  dovendosi  tenere  conto  delle  materie  gia'  oggi
trattate in sede centrale con riferimento alle competenze  delle  due
sezioni distaccate oggi accorpate) un significativo aumento di lavoro
rispetto alla situazione esistente. 
    Trovandosi il Tribunale di Pinerolo nella  stessa  provincia  del
Tribunale metropolitano  di  Torino  (con  il  quale  intercorre  una
rilevantissima differenza di  dimensioni),  una  corretta  attuazione
della delega avrebbe imposto invece il  potenziamento  del  Tribunale
sub-metropolitano di Pinerolo mediante riequilibrio della  competenza
territoriale (e, soprattutto, della popolazione servita) rispetto  al
Tribunale di Torino (operazione  possibile  anche  mediante  semplice
accorpamento - parziale o totale - di comuni  di  sezioni  distaccate
del Tribunale «limitrofo» di Torino, come previsto dall'art. 1, comma
2, lett. d), della legge-delega). 
    Fermo  restando  il  divieto  legislativo  di  soppressione   del
Tribunale di Pinerolo, nell'ipotesi piu'  radicale  consentita  dalla
legge-delega e oggetto del parere del Consiglio Giudiziario 17 luglio
2012 (accorpamento al Tribunale di Pinerolo delle sezioni  distaccate
di Susa e Moncalieri facenti  parti  del  Tribunale  di  Torino),  si
sarebbero verificati i seguenti «risultati»: 
 
                         Tribunale di Torino 
 
Popolazione totale - 1.121.979 
 
                        Tribunale di Pinerolo 
            (con ex sezioni distaccate Moncalieri e Susa) 
 
Popolazione totale - 570.652 
 
                         Tribunale di Ivrea 
            (con ex sezioni distaccate Chivasso e Cirie') 
 
Popolazione totale - 516.962 
    Col mero mantenimento di  Pinerolo  (come  detto  quarto  ufficio
giudiziario dell'intero distretto), il Tribunale  di  Torino  sezione
unica  centrale  sarebbe  passato  «soltanto»  alle  -   pur   sempre
mastodontiche dimensioni - di 1.476.226 abitanti. 
    In  sintesi,   con   l'irrazionale   e   discriminatoria   scelta
soppressiva  di   Pinerolo   (si   ribadisce   l'unica   di   ufficio
submetropolitano  in   Italia)   si   e'   clamorosamente   frustrato
l'obiettivo di razionalizzare il servizio giustizia nella provincia e
nell'area metropolitana di Torino. 
    Non solo. 
    Tutti gli studi del CSM hanno sempre individuato come  dimensione
ottimale di pianta organica per un  Tribunale,  in  quanto  idonea  a
garantire  maggiori  livelli  di  «produttivita'»   e   di   adeguata
specializzazione, proprio quella di circa 500.000  abitanti  e  21-30
giudici  (quale  potrebbe  appunto  essere,  al  pari  di  Ivrea,  la
dimensione  degli  uffici  giudiziari   di   Pinerolo);   la   stessa
Commissione Ministeriale (relazione Gruppo di Lavoro  12  marzo  2012
pagg. 18 e 26), citando appunto gli  studi  del  CSM,  individua  nei
Tribunali attuali con organico fra 21 e 30 magistrati giudici  quelli
con maggiore produttivita', evidenziando  per  contro  un  crollo  di
produttivita' per i tribunali con organici  superiori  a  80  unita'.
Detta impostazione  e'  stata  da  ultimo  ribadita  nella  relazione
ministeriale allo schema di  decreto  legislativo  (pag.  3)  ove  il
crollo di produttivita' susseguente allo  sforare  delle  100  unita'
viene definito «vertiginoso crollo». 
    Sulla base di tali premesse (si ribadisce frutto di studi del CSM
e del Governo), risulta difficile negare una possibile violazione del
diritto di difesa (art. 24 Cost.) del cittadino che sarebbe costretto
a rivolgersi ad un Tribunale  ove  l'efficienza  e'  vertiginosamente
compromessa  dalla  conclamata  improduttivita'  dei  tribunali   con
megaorganici,   non   essendosi   proceduto   alla   riorganizzazione
territoriale degli uffici giudiziari con l'osservanza dei principi  e
criteri direttivi indicati dalla legge delega, che pone come precipuo
fine la realizzazione dell'efficienza giudiziaria. Ad es. e' un fatto
notorio che da anni gli uffici giudiziari di  Torino  (anche  perche'
gravati di competenze esclusive «centralizzate»: si pensi a quelle in
tema di «tribunale del riesame», di processi  con  numerosi  imputati
per criminalita' organizzata, di marchi  e  brevetti,  ora  anche  di
tribunale delle imprese, ecc.) non riescono a trattare - a differenza
di quanto avviene oggi a Pinerolo - tutti  i  processi  penali  (sono
state codificate direttive di trattazione prioritaria  per  tipologia
di reato: ad es. «Circolare del dott. Marcello Maddalena») e che  una
percentuale rilevante si conclude con  declaratorie  di  prescrizione
(addirittura gia'  in  fase  delle  indagini,  proprio  perche'  tali
procedimenti non vengono «mandati avanti»). 
    Da qualche giorno e' stata  licenziata  la  proposta  governativa
relativa alle nuove piante organiche del Ministro  di  Giustizia  (v.
all. n. 14),  sottoposta  al  CSM  per  l'obbligatorio  parere,  che,
incurante della previsione circa la ridefinizione dei nuovi  organici
con  l'accorpamento  degli  organici  dei  tribunali  soppressi  agli
accorpanti, introducendo parametri del tutto nuovi e non previsti dal
legislatore, prevede per il Tribunale  di  Torino  post  riforma  152
magistrati, ovvero un numero circa doppio rispetto alla  soglia  (80)
indicata critica per il citato crollo della produttivita'.  Si  badi,
poi, che in organico presso il Tribunale di Torino gia' ante riforma,
considerato che i magistrati  presso  le  sezioni  distaccate  (Susa,
Chivasso, Cirie', Moncalieri) erano in numero di 9,  si  avevano  153
magistrati (dei 162 previsti per il  Tribunale  nel  suo  complesso);
pertanto, e' di tutta evidenza che con le nuove disposizioni  non  si
raggiunga nemmeno il prefissato  risultato  di  razionalizzazione  ed
aumento dell'efficienza, posto che in alcun  modo  e'  posto  rimedio
alla disfunzionalita' che reca con  se'  la  previsione  di  un  mega
organico,  che  inevitabilmente  reca  con  se'  sacche   di   scarsa
produttivita'. 
    Occorre poi aggiungere che la proposta  di  piante  organiche  e'
tale che - all'esito dei rilievi dei Consigli Giudiziari e del CSM  -
potra' essere variata in  aumento  (non  certo  sottraendo  ulteriori
risorse al Tribunale di Torino), posto che i Dirigenti  degli  Uffici
distrettuali di Torino hanno gia' levato (giustamente) il loro  forte
grido di protesta per la sottrazione  di  risorse  nel  distretto  di
Torino  (25  magistrati  giudicanti)  che  si  riverbera  anche   sul
Tribunale di Torino: sottrazione  di  giudici  non  giustificata  dal
carico di lavoro e dal bacino d'utenza, aumentato per  l'accorpamento
del Tribunale di Pinerolo ed il mantenimento della competenza in capo
alle sezioni distaccate di Moncalieri e Susa. 
    Sempre con riferimento ai criteri di legge-delega (in questo caso
«estensione  del  territorio»),  va  evidenziato  che  il  territorio
ricompreso nel circondario del Tribunale di Pinerolo  e'  di  152.045
hmq  e  spazia  da  Sestriere  (altitudine  n.  2035)  ad   Orbassano
(altitudine m. 245); tutti i cittadini dei  58  comuni  ivi  compresi
raggiungono con (piu' o meno  relativa)  facilita'  Pinerolo,  mentre
molti comuni montani distano circa 100 km da Torino;  diverse  estese
vallate  alpine  hanno  sbocco  nella  pianura  dei   pinerolese   in
particolare (Valle Chisone,  Val  Germanasca  e  Val  Pellice  i  cui
territori giungono sino al confine con la Francia). 
    Alla situazione del Tribunale di Pinerolo si attaglia  dunque  in
pieno  la  raccomandazione  contenuta  nella  relazione  del  CSM  al
Parlamento sullo stato della Giustizia del 15 luglio 1996 (richiamata
nella  delibera  del  13   gennaio   2010   sulla   revisione   delle
circoscrizioni giudiziarie e nel cui solco si muove sia la  relazione
del Gruppo di studio sia lo stesso testo della  legge  n.  148/2011),
affinche'  nei  territori  montani  caratterizzati   da   particolari
difficolta'  di  accesso  -  come  «ad  esempio  nei  Tribunali  siti
nell'arco   alpino»   -   l'ufficio   giudiziario   sia   «conservato
comunque...dotandolo di adeguate strutture». 
    Dal momento che una giustizia  inefficiente  ed  al  cui  accesso
siano frapposti ostacoli rischia di risolversi in denegata giustizia,
sussiste parimenti un consistente fumus di violazione, da parte delle
norme oggi censurate, dell'art. 24 Cost., baluardo  del  fondamentale
diritto alla difesa in giudizio. 
    Si deve poi rammentare come, ai sensi dell'art. 97 2° comma Cost.
i  pubblici  uffici  debbano  essere  organizzati  in  modo  che  sia
assicurato il buon andamento dell'amministrazione ed in tal senso  si
pone lo stesso art. 1 comma 2° della legge delega, laddove,  come  si
e' visto, pone tra gli obiettivi primari la realizzazione di risparmi
di  spesa  ed  efficienza.  E'  di  tutta  evidenza   il   fallimento
dell'obiettivo  nel  caso  di  specie,  laddove  viene  soppresso  un
Tribunale che sta in questi giorni terminando i lavori di ampliamento
degli  uffici  giudiziari,  finanziati  dallo  stesso  Ministero   di
Giustizia che oggi lo vuole sopprimere per euro 774.685,35 (cui vanno
aggiunti  circa  70.000,00  spesi  dal  Comune  di  Pinerolo)  e  che
consentirebbero di ospitare almeno 50 nuove  unita'  di  personale  e
magistrati, con possibilita'  di  sfruttamento  di  ulteriori  locali
nella medesima sede. 
    La frustrazione dei piu' elementari principi  di  buon  andamento
della pubblica amministrazione appare lampante sol  che  si  vogliano
sommare i costi del trasferimento  a  quelli  necessari  ad  adeguare
(ampliandolo) l'ufficio accorpante onde consentire l'accoglimento del
personale e dei fascicoli  dell'accorpato,  le  cui  nuove  strutture
rimarranno inutilizzate. 
    Emerge,  da  ultimo,  una  clamorosa  e  ulteriore  irragionevole
disparita' di trattamento (che si  risolve  nell'ennesima  violazione
dell'art. 3 Cost.) essendo stato violato  -  oltre  che  qualsivoglia
criterio «omogeneo» -  quel  fondamentale  corollario  del  principio
costituzionale di eguaglianza che  impone  di  trattare  alla  stessa
stregua situazioni  giuridiche  identiche.  In  particolare,  non  si
comprende  assolutamente  (sul  piano  del  diritto)  perche',  nella
provincia di Torino, sia stato soppresso il Tribunale di  Pinerolo  e
mantenuto   invece   quello   (con   minor   popolazione   e   minori
sopravvenienze) di Ivrea. 
    Per meglio apprezzare l'irrazionalita' della scelta si  riportano
alcuni dati comparativi «ufficiali»  (estratti  dagli  allegati  alle
Relazioni del Presidente della Corte di appello per  gli  ultimi  due
anni giudiziari). 
 
                      A) Tribunale di Pinerolo 
 
    Popolazione residente - 203.804 abitanti (fonte Cosmag censimento
2001) e 216.415 (censimento 2011) 
    Magistrati Trib. 10 
    Magistrati Procura 4 
    Giudici/abitanti 1/20.380 
    Cause civili (sopravv.) 6.076 (2009-10) 5.879 (2010-11) 
    Cause penali noti (sopravv.) 2.689 (2009-10) 2.529 (2010-11) 
    Totale procedimenti 8.765 - 8.408 
 
                        B) Tribunale di Ivrea 
 
    Popolazione residente 184.084 abitanti (fonte  Cosmag  censimento
2001 e 189.405/censimento 2011) 
    Magistrati Trib. 11 
    Magistrati Procura 4 
    Giudici/abitanti 1/16.735 
    Cause civili (sopravv.) 5.655 (2009-10) 5493 (2010-11) 
    Cause penali (sopravv.) 2.907 (2009-10) 2.748 (2010-11) 
    Totale procedimenti 8.562 - 8.241 
    Da tali dati  ufficiali  emerge  che  Pinerolo  ha,  infatti,  un
maggiore bacino di utenza per popolazione (oltre 27.000  abitanti)  e
maggiori  indici  di  sopravvenienze   ed   un'edilizia   giudiziaria
maggiormente confacente all'ampliamento. A tal proposito  si  segnala
come gli uffici giudiziari di Ivrea (gia' sottodimensionati  rispetto
alle attuali esigenze) siano del tutto inidonei  ad  essere  ampliati
(se non a prezzo di  ingentissimi  costi)  per  ospitare  le  sezioni
distaccate accorpate di Cirie' e Chivasso, che, in spregio  a  quanto
disposto  dalla  legge  delega  sub  art.  1  comma  2°  lettera  d),
dovrebbero rimanere in vita quali sezioni «dislocate»  del  Tribunale
di Ivrea (v. dichiarazioni stampa Presidente dott. Garbellotto - doc.
n. 5 parte civile). 
    Dalla   lettura   di   quanto    sopra    emerge    inconfutabile
l'irragionevolezza  di  un  provvedimento  che  sopprime   il   primo
Tribunale della provincia di Torino (dopo il capoluogo),  con  uffici
dotati di strutture in grado di ospitare l'ampliamento suggerito  dal
legislatore e mantiene il secondo Tribunale  provinciale,  del  tutto
privo di idonea edilizia giudiziaria. Questa e'  razionalita?  Questo
e' risparmio di spesa? Questa e' osservanza dei  principi  e  criteri
direttivi (nonche' delle finalita') della legge delega? 
    L'art. 3 della Costituzione avrebbe dunque imposto a  fortiori  -
unitamente al mantenimento del Tribunale di Ivrea - anche quello  del
piu' grande - piu' popoloso e con maggiori sopravvenienze - Tribunale
di Pinerolo. 
    In ogni caso, se la legge-delega fosse per assurdo interpretabile
nel  senso  di  consentire  la  sopprimibilita'   di   un   tribunale
submetropolitano (ma si  e'  detto  che  cio'  e'  da  escludersi  in
assoluto), sfugge appunto, e si risolve nell'ennesima violazione  del
disposto di cui all'art. 3 Cost., il criterio sottostante  la  scelta
di mantenere il Tribunale di Ivrea in luogo di  quello  di  Pinerolo,
posto che, in ragione dei criteri  di  cui  alla  legge  n.  148/2011
prescelti dallo stesso gruppo di studio  incaricato  della  scrittura
del provvedimento (pag. 23, ove si da atto  della  scelta  di  valori
«incontrovertibili, pubblici e pre-elaborati,» quali il numero  degli
abitanti, le sopravvenienze e i  carichi  di  lavoro)  sarebbe  stato
semmai il primo a dover esser falcidiato. 
    La violazione della legge delega e degli artt. 76, 3 e  24  della
Costituzione pone un dubbio di legittimita' costituzionale anche  per
il contrasto con il disposto di cui all'art. 25 1°  comma  Cost.,  in
quanto l'applicazione del provvedimento che oggi si censura distoglie
il cittadino del Giudice naturale precostituito per legge, che  viene
soppresso e sostituito in forza di provvedimento illegittimo. 
    La violazione e' ancor piu' evidente alla luce  dell'art.  9  del
decreto legislativo n. 155/2012 (disposizione anche questa  applicata
dal Giudice scrivente nel rinviare il processo  al  1°  ottobre  2013
avanti al Tribunale di Torino), laddove prevede che le cause pendenti
avanti ad un ufficio destinato alla soppressione alla data di entrata
in vigore (rectius: efficacia) del provvedimento, siano  devolute  al
Tribunale accorpante e, conseguentemente, i rinvii di udienza  (quali
quello di specie) a  data  successiva  al  13  settembre  2013  siano
effettuati - come e' stato fatto nel caso di specie - avanti al nuovo
Giudice competente in quanto accorpante. La disposizione appare presa
disattendendo la necessita', sancita dall'art. 25 1° comma Cost.,  di
precostituzione del Giudice investito del processo, che comporta  che
il legislatore detti la disciplina della competenza prima  del  fatto
da giudicare e non  con  come  norma  sopravveniente  addirittura  al
processo gia' iniziato. 
    E' noto al  riguardo  che  la  giurisprudenza  costituzionale  ha
contribuito alla migliore interpretazione dell'art. 25 comma 1  della
Costituzione con sentenze che hanno talvolta richiamato  l'attenzione
sul «diritto alla certezza che  a  giudicare  non  sara'  un  Giudice
creato a posteriori in  relazione  ad  un  fatto  gia'  verificatosi»
(sentenza n. 88 del 1962), e in qualche altro caso hanno  manifestato
una  particolare  sensibilita'   nei   confronti   degli   interventi
legislativi che incidono sulla competenza (sentenza n. 452 del  1997)
a condizione pero' che si  riesca  a  contemperare  «obiettivita'  ed
imparzialita' con continuita' e prontezza delle  funzioni»  (sentenza
n. 272 del  1998).  Qui  non  si  vuole  opporre  resistenza  ad  una
qualsiasi novella che articoli diversamente  la  competenza  tra  gli
uffici giudiziari; si  contesta,  pero',  un  percorso  che  in  piu'
occasioni ha violato diverse disposizioni  costituzionali  (artt.  3,
24, 76, comma 1, 97) e che nei fatti e' irragionevole  anche  perche'
incide negativamente  sulla  «continuita'  e  sulla  prontezza  delle
funzioni»  (Corte  costituzionale  n.  272  del  1998)  degli  uffici
giudiziari senza produrre alcun beneficio per  i  cittadini  ne'  dal
punto di vista dell'accesso alla giustizia ne' per quel che  concerne
la riduzione dei costi degli apparti giudiziari ne' in  relazione  al
tema della durata ragionevole del processo. 
    La costituzione  di  un  nuovo  giudice  a  mezzo  di  norme  non
rispettose del dettato costituzionale viola la riserva  di  legge  di
cui all'art. 25 1° comma Cost. che e' una disposizione costituzionale
destinata «a garantire la certezza del cittadino di veder tutelati  i
propri  diritti  e  interessi  da  un  organo  gia'   preventivamente
stabilito dall'ordinamento e indipendente da ogni influenza  esterna»
(Corte costituzionale, sentenza n. 272 del 1998). 
    Conclusivamente va rilevato che tutte le censure mosse al decreto
legislativo n. 155/2012 relative alla soppressione del  Tribunale  di
Pinerolo   sono   automaticamente   estensibili   alla   soppressione
dell'Ufficio di Procura e al  suo  accorpamento  alla  Procura  della
Repubblica  di  Torino:  basti  rilevare  che  per   nessun   ufficio
giudiziario e'  stata  operata  la  scelta  del  mantenimento  di  un
tribunale senza il corrispondente  ufficio  di  Procura.  Il  mancato
rispetto  di  tale  «simmetria»  creerebbe  altrimenti   un'ulteriore
ingiustificabile disparita' di trattamento, lesiva dell'art. 3 Cost.. 
B) Illegittimita' costituzionale del decreto-legge n. 138 del 2011  e
la legge di conversione n. 148 del 2011 art. 1 comma  2°:  violazione
artt. 70, 76 e 77 2° comma Cost. 
    Con legge 14 settembre 2011,  n.  148,  e'  stato  convertito  in
legge, con modificazioni, il decreto-legge 13 agosto  2011,  n.  138,
recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e
per lo sviluppo ed e' stata conferita la «delega al  Governo  per  la
riorganizzazione della  distribuzione  sul  territorio  degli  uffici
giudiziari». 
    In particolare, l'art. 1 della citata legge ha previsto: 
    1) al primo comma, la conversione in legge del  decreto-legge  n.
138/2011; 
    2)  al  secondo  comma,  che  «il  Governo,  anche  ai  fini  del
perseguimento delle finalita' di cui all'art. 9 del  decreto-legge  6
luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  15
luglio 2011, n. 111, e' delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla
data di entrata in vigore della presente legge, uno  o  piu'  decreti
legislativi per riorganizzare la distribuzione sul  territorio  degli
uffici  giudiziari  al  fine  di  realizzare  risparmi  di  spesa   e
incremento di efficienza, con  l'osservanza  di  taluni  «principi  e
criteri direttivi», che sono dettagliatamente indicati nelle  lettere
da a) a q) del medesimo comma secondo. 
    I commi successivi prevedono che: 
    3) la riforma realizza il necessario coordinamento con  le  altre
disposizioni vigenti; 
    4) gli schemi dei decreti legislativi previsti dal comma  2  sono
adottati su proposta del Ministro della Giustizia  e  successivamente
trasmessi al Consiglio Superiore della Magistratura e  al  Parlamento
ai fini dell'espressione dei pareri da parte del  Consiglio  e  delle
Commissioni competenti per materia. I pareri,  non  vincolanti,  sono
resi entro il termine di trenta giorni dalla  data  di  trasmissione,
decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza dei  pareri
stessi. Qualora detto termine  venga  a  scadere  nei  trenta  giorni
antecedenti  allo  spirare  del  termine  previsto  dal  comma  2,  o
successivamente, la scadenza di quest'ultimo e' prorogata di sessanta
giorni; 
    5) il Governo, con la procedura indicata nel comma 4,  entro  due
anni dalla  data  di  entrata  in  vigore  di  ciascuno  dei  decreti
legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma  2  e
nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati, puo'  adottare
disposizioni  integrative  e  correttive  dei   decreti   legislativi
medesimi. 
    Il comma 6 dispone, infine, che la legge di conversione entri  in
vigore  dal  giorno  successivo  alla   pubblicazione   in   Gazzetta
Ufficiale. 
    Successivamente,  in  attuazione  della  delega,  e  nel  termine
fissato di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge n.
148  del  2011,  sono  stati  emanati  -  come  detto  -  il  decreto
legislativo 7 settembre 2012 , n. 155 (in  Suppl.  ordinario  n.  185
alla Gazzetta Ufficiale, 12  settembre  2012,  n.  213),  recante  la
«Nuova organizzazione dei  Tribunali  ordinari  e  degli  uffici  del
Pubblico Ministero, a norma dell'art. 1,  comma  2,  della  legge  14
settembre 2011, n. 148», e il decreto legislativo 7  settembre  2012,
n. 156 (in Suppl.  ordinario  n.  185  alla  Gazzetta  Ufficiale,  12
settembre 2012, n. 213), recante la «revisione  delle  circoscrizioni
giudiziarie - Uffici dei Giudici di Pace, a norma dell'art. 1,  comma
2, della legge 14 settembre 2011, n. 148» (provvedimento quest'ultimo
che ovviamente non interessa il presente giudizio). 
    Ritiene il giudicante  che  i  principi  costituzionali  relativi
all'esercizio   della   funzione   legislativa   parlamentare,   alla
eccezionale attribuzione della funzione legislativa al Governo  e  ai
presupposti degli atti aventi forza di legge del Governo,  evidenzino
che il decreto-legge n. 138 del 2011 e l'art. 1 comma 2  della  legge
di conversione n. 148 del 2011 si pongano in verosimile contrasto con
gli artt. 70, 76 e 77 2° comma Cost. 
    Con  la  sentenza  n.  29  del  1995  e'  stata  riconosciuta  la
possibilita' per la Corte costituzionale di giudicare  sui  vizi  dei
presupposti  del  decreto-legge,  almeno  nei   casi   di   «evidente
mancanza»,  anche  dopo  l'intervento  della  legge  di  conversione.
Secondo tale orientamento, la legge di conversione non ha  «efficacia
sanante» e il difetto dei presupposti della straordinaria  necessita'
ed urgenza (vera e propria  carenza  di  potere)  concreta  un  vizio
formale del procedimento normativo, trasmissibile  dal  decreto-legge
alla legge di conversione. 
    Il predetto orientamento e' stato confermato in numerose sentenze
(v. Corte Cost. nn. 341 del 2003; 6, 178, 196, 285, 299 del 2004;  2,
62 e 272 del 2005): si  e'  andato  dunque  consolidando  l'indirizzo
favorevole alla possibilita' del sindacato della Corte costituzionale
nei casi di «evidente mancanza»  dei  presupposti  di  necessita'  ed
urgenza del decreto-legge, anche dopo  l'intervento  della  legge  di
conversione. 
    Sul punto e' poi intervenuta la sentenza n. 171/2007 ove la Corte
statuisce che «il difetto dei requisiti del  "caso  straordinario  di
necessita'   e   d'urgenza"   che   legittimano   l'emanazione    del
decreto-legge, una volta intervenuta la conversione, si traduce in un
vizio in procedendo della relativa legge. Il  suddetto  principio  e'
funzionale alla tutela dei diritti e caratterizza  la  configurazione
del sistema costituzionale  nel  suo  complesso.  Infatti,  l'opposto
orientamento, secondo cui la legge di conversione sana in ogni caso i
vizi del decreto, comporta l'attribuzione in concreto al  legislatore
ordinario del potere di  alterare  il  riparto  costituzionale  delle
competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione  delle
fonti primarie. Inoltre, in  considerazione  del  fatto  che  in  una
Repubblica parlamentare,  quale  quella  italiana,  il  Governo  deve
godere della fiducia delle Camere e che il decreto-legge comporta una
sua particolare assunzione di responsabilita', si deve concludere che
le disposizioni della legge di conversione in quanto tali nel limiti,
cioe',  in  cui  non  incidano  in  modo  sostanziale  sul  contenuto
normativo  delle  disposizioni  del  decreto  -  non  possono  essere
valutate,  sotto  il  profilo  della   legittimita'   costituzionale,
autonomamente da quelle  del  decreto  stesso.  Infatti,  l'immediata
efficacia del decreto-legge condiziona  l'attivita'  del  Parlamento,
che si trova a compiere  le  proprie  valutazioni  e  deliberare  con
riguardo ad una situazione modificata da norme poste da un organo cui
di regola, quale titolare del potere esecutivo,  non  spetta  emanare
disposizioni aventi efficacia  di  legge».  Orientamento  confermato,
sempre dal Giudice delle Leggi,  con  la  pronuncia  n.  128/2008  di
conforme contenuto, ed esteso con la sentenza n. 355/2010 anche  agli
emendamenti «aggiunti» in sede di conversione dal Parlamento. 
    La  giurisprudenza  costituzionale  e'  quindi   assai   rigorosa
nell'accertare l'avvenuto  rispetto  dell'art.  77,  comma  2,  della
Costituzione con particolare riguardo ai presupposti che  nel  nostro
sistema costituzionale  legittimano  la  decretazione  d'urgenza  del
Governo. E' significativo che la legge n. 400 del 1988  all'art.  15,
comma  1,  richieda  all'esecutivo  di  indicare  nel  preambolo   le
«circostanze  straordinarie  di  necessita'   ed   urgenza   che   ne
giustificano l'adozione». 
    Orbene: la lettura della clausola che accompagna  l'adozione  del
decreto-legge n. 138 del 2011 (che testualmente recita: «ritenuta  la
straordinaria necessita' ed urgenza di emanare  disposizioni  per  la
stabilizzazione  finanziaria  e  per  il  contenimento  della   spesa
pubblica al fine di garantire la stabilita' del Paese con riferimento
all'eccezionale situazione di crisi internazionale e di  instabilita'
dei mercati e per rispettare gli impegni assunti in  sede  di  Unione
Europea, nonche' di adottare misure dirette a favorire lo sviluppo  e
la competitivita' del  Paese  e  il  sostegno  dell'occupazione»)  fa
emergere ictu oculi che non si e' dato per nulla conto dell'esistenza
dei presupposti di cui all'art. 77, comma 2 Cost.  rispetto  al  tema
della riforma della geografia giudiziaria, originariamente del  tutto
estraneo nella genesi del provvedimento di urgenza [e  che  e'  stato
introdotto solo successivamente all'approvazione parlamentare  di  un
emendamento  governativo  proposto  in  sede   di   conversione   del
decreto-legge n. 138 del 2011]. 
    E' pertanto,  evidente  il  mancato  rispetto  sostanziale  della
disciplina costituzionale della decretazione d'urgenza.  Infatti  non
e' sufficiente un'indicazione generica di un  qualsiasi  presupposto,
ma vi deve  essere  un  nesso,  un  collegamento  fra  presupposti  e
disciplina  del  decreto-legge.  Diversamente  opinando  il   Governo
potrebbe giustificare il  ricorso  al  decreto-legge  su  presupposti
generici  e  quindi  non  idonei  a  giustificare   la   legittimita'
costituzionale della disciplina d'urgenza. E' di tutta  evidenza  che
nel momento dell'adozione  del  decreto-legge  n.  138  del  2011  il
preambolo implicitamente rinvia alle competenze  legislative  statali
indicate nell'art. 117 della Costituzione. Gli  ambiti  materiali  in
cui il  decreto-legge  opera  sono  il  coordinamento  della  finanza
pubblica (art. 117, comma 3), o quelli indicati alla lettere a) ed e)
dell'art. 117, comma 2; non vi e' alcun cenno alla  materia  indicata
alla  lettera  l)  del  suddetto  comma   («giurisdizione   e   norme
processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa»). 
    In  altre  parole:  la  c.d.  «geografia  giudiziaria»   non   e'
minimamente connessa con i presupposti di necessita' ed  urgenza  del
decreto-legge n. 138 del 2011,  salvo  a  voler  ammettere  che  quei
presupposti possano legittimare l'approvazione in sede di conversione
di una qualsiasi disposizione solo perche'  esiste  una  grave  crisi
finanziaria che affligge il nostro Paese. Con  riferimento,  infatti,
ad altro decreto-legge, la Corte  costituzionale  ha  avuto  modo  di
affermare che «il principio salus rei pubblicae suprema lex oste  non
puo' essere invocato al fine di sospendere le garanzie costituzionali
di autonomia degli enti territoriali stabilite dalla Costituzione. Lo
Stato,   pertanto,   deve    affrontare    l'emergenza    finanziaria
predisponendo   rimedi   che   siano   consentiti    dall'ordinamento
costituzionale» (Corte costituzionale sentenza n. 151 del 2012). 
    In ogni caso la  disciplina  della  «geografia  giudiziaria»  non
riguarda una manovra che si prefigge la  stabilizzazione  finanziaria
ed il contenimento della  spesa  pubblica,  che  paradossalmente  non
ottiene  alcun  risparmio  dalla  paventata  soppressione   di   sedi
giudiziarie e che, al contrario assume  nuovi  costi  per  traslochi,
indennita' per trasferimento magistrati, nuova  edilizia  giudiziaria
ed incrementa disagi e costi per i cittadini (non a caso il  Ministro
della Giustizia in piu'  occasioni  ha  ribadito  che  falsamente  si
ascrive il tema della revisione delle  circoscrizioni  alla  spending
review,  perche'  in  realta'  si  tratta  soprattutto  di   guadagno
d'efficienza, a cui si accompagnera' un risparmio). Ne  consegue  che
l'omessa  indicazione  dei  presupposti  di  necessita'  ed   urgenza
determina un  vizio  in  procedendo  della  legge  di  conversione  e
conferma l'assunto dell'illegittimita' delle disposizioni aggiunte in
sede di conversione che sono estranee alla struttura  originaria  del
decreto-legge ed approvate in  dispregio  di  quanto  disposto  dagli
articoli 70, 72 e 77 della Costituzione. 
    Appare,  cosi',   palese,   il   vulnus   inflitto   alla   norma
procedimentale prevista dalla Costituzione che limita l'adozione  del
decreto-legge ai soli casi di straordinaria necessita' ed urgenza (si
badi la delega concerne una riforma di sistema tanto  da  indurre  il
Governo a definirla «riforma strutturale» e a prevedere un  tempo  di
un anno  per  l'emanazione  del  decreto  legislativo  -  tempo  che,
ovviamente, e' stato completamente utilizzato  dall'Esecutivo  e  che
peraltro  pare   difficilmente   compatibile   con   la   natura   di
provvedimento emergenziale straordinario e  urgente)  e  sancisce  la
perdita  di  efficacia  dello  stesso  decreto  in  caso  di  mancata
conversione   parlamentare   entro   i   60   gg.   successivi   alla
pubblicazione. 
    Ma vi e' di piu'. 
    La delega  al  riordino  della  geografia  giudiziaria  e'  stata
introdotta  ex  novo  con  un  emendamento  in  sede  di  conversione
dell'originario  decreto-legge,  e  appare  ictu  oculi   del   tutto
eterogenea rispetto al corpo del decreto-legge  convertito,  tale  da
potersi definire una «norma intrusa», ovvero che introduce una  nuova
disciplina (e, propriamente, una delega al Governo a  legiferare  con
successivi decreti legislativi in materia di  riorganizzazione  della
distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio),  evidentemente
estranea all'insieme delle altre disposizioni del  decreto-legge  che
il primo comma dell'art. 1 legge n. 148/2011 provvede a convertire. 
    Sul  punto  specifico  si  e'  recentemente  espressa  la   Corte
costituzionale con la sentenza n. 22 del 16 febbraio 2012. Il giudice
delle leggi ha testualmente affermato: «La semplice immissione di una
disposizione  nel  corpo  di  un   decreto-legge   oggettivamente   o
teleologicamente unitario non vale a trasmettere, per cio' solo, alla
stessa il carattere di  urgenza  proprio  delle  altre  disposizioni,
legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalita'.  Ai  sensi
del II comma dell'art. 77 Cost., i presupposti per l'esercizio  senza
delega della potesta' legislativa da parte del Governo riguardano  il
decreto-legge  nella  sua   interezza,   inteso   come   insieme   di
disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo. L'inserimento di
norme eterogenee all'oggetto o alla finalita' del decreto, spezza  il
legame  logico-giuridico  tra  la  valutazione  fatta   dal   Governo
dell'urgenza del provvedere ed i «provvedimenti provvisori con  forza
di legge», di cui alla norma costituzionale  citata.  Il  presupposto
del «caso» straordinario di necessita' e urgenza  inerisce  sempre  e
soltanto  al  provvedimento  inteso  come  un  tutto  unitario,  atto
normativo fornito di  intrinseca  coerenza,  anche  se  articolato  e
differenziato al  suo  interno.  La  scomposizione  atomistica  della
condizione di validita' prescritta  dalla  Costituzione  si  pone  in
contrasto con il necessario legame tra il  provvedimento  legislativo
urgente ed il «caso» che  lo  ha  reso  necessario,  trasformando  il
decreto-legge in una congerie di norme assemblate  soltanto  da  mera
casualita' temporale... I cosiddetti decreti  «mille  proroghe»,  che
vengono convertiti in legge dalle Camere, sebbene attengano ad ambiti
materiali diversi ed eterogenei, devono obbedire alla ratio  unitaria
di intervenire con urgenza sulla scadenza di termini il  cui  decorso
sarebbe dannoso per interessi ritenuti rilevanti dal  Governo  e  dal
Parlamento, o di incidere su situazioni esistenti - pur attinenti  ad
oggetti e materie diversi - che richiedono interventi  regolatori  di
natura  temporale.  Del  tutto  estranea  a  tali  interventi  e'  la
disciplina «a regime» di materie o settori di materie, rispetto  alle
quali non  puo'  valere  il  medesimo  presupposto  della  necessita'
temporale e che possono quindi essere oggetto del  normale  esercizio
del potere di iniziativa legislativa, di cui all'art. 71 Cost. Ove le
discipline estranee alla ratio unitaria  del  decreto  presentassero,
secondo  il  giudizio  politico  del  Governo,  profili  autonomi  di
necessita' e urgenza, le stesse ben potrebbero  essere  contenute  in
atti normativi urgenti del  potere  esecutivo  distinti  e  separati.
Risulta invece in contrasto con l'art. 77 Cost. la commistione  e  la
sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di oggetti e  finalita'
eterogenei, in ragione di presupposti, a loro volta,  eterogenei.  La
necessaria omogeneita' del decreto-legge, la cui interna coerenza  va
valutata in relazione all'apprezzamento politico operato dal  Governo
e controllato dal  Parlamento,  del  singolo  caso  straordinario  di
necessita'  e  urgenza,  deve  essere  osservata   dalla   legge   di
conversione di un  decreto-legge  e'  pienamente  recepito  dall'art.
96-bis, comma 7  del  regolamento  della  Camera  dei  Deputati,  che
dispone: «Il Presidente dichiara inammissibili gli emendamenti e  gli
articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla materia
del  decreto-legge».  Pertanto,  e'  costituzionalmente   illegittimo
l'art. 2 comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2010,  n.  225
(Proroga  di  termini  previsti  da  disposizioni  legislative  e  di
interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e
alle famiglie), convertito in legge, con modifiche, dall'art. 1 comma
1 della legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in cui introduce i
commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della  legge
24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del  Servizio  nazionale  della
protezione civile), in quanto le norme impugnate, inserite nel  corso
del procedimento di conversione del decreto-legge n.  225/2010,  sono
del tutto estranee alla materia e alle finalita' del medesimo». 
    In  definitiva  i  giudici  costituzionali   escludono   che   il
Parlamento  possa   utilizzare   un   procedimento   legislativo   di
conversione in legge  di  un  decreto-legge  per  inserire  contenuti
normativi non aventi gli stessi presupposti di necessita' ed  urgenza
dell'originario provvedimento. 
    Dell'illegittimita' del procedimento de quo si  sono  resi  conto
anche i tecnici della stessa Assemblea legislativa al punto che,  nel
dossier della Camera  dei  Deputati  n.  317  dell'8  settembre  2012
(Elementi  per  la  valutazione   degli   aspetti   di   legittimita'
costituzionale),  e'  stato  precisato  come  il  Comitato   per   la
legislazione abbia costantemente ritenuto che  «l'inserimento  in  un
disegno  di  legge  di  conversione  di  disposizioni  di   carattere
sostanziale, soprattutto  se  recanti  disposizioni  di  delega,  non
appare  corrispondente  ad  un  corretto  utilizzo  dello   specifico
strumento normativo rappresentato da tale tipologia di legge»; e, nel
Parere reso dallo stesso Comitato per la  legislazione  nella  seduta
dell'8 settembre 2011, proprio con riferimento al testo  della  legge
n. 148/2011, era stata avanzata la condizione che «siano soppresse le
disposizioni di cui ai commi da 2 a 5 - volte a conferire una  delega
al Governo in materia di  riorganizzazione  della  distribuzione  sul
territorio  degli  uffici  giudiziari  -   in   quanto   non   appare
corrispondente ad un  corretto  utilizzo  dello  specifico  strumento
normativo rappresentato dal disegno di legge  di  conversione  di  un
decreto-legge, l'inserimento al suo interno di  una  disposizione  di
carattere sostanziale, in  particolare  se  recante  disposizioni  di
delega, integrandosi in tal caso, come  precisato  in  premessa,  una
violazione del limite di contenuto posto dal  gia'  citato  art.  15,
comma 2, lett. a) della legge n. 400 del 1988». 
    In conclusione, nella fattispecie appare evidente come sia  stato
compiuto un vero  e  proprio  «stravolgimento»  dei  procedimenti  di
produzione  di  atti  aventi   forza   di   legge,   indicati   nella
Costituzione, che qui sono «invertiti» e «piegati»  per  giustificare
esigenze certamente diverse da quelle di straordinaria necessita'  ed
urgenza che invece  sono  le  sole  che  legittimano  il  ricorso  al
decreto-legge. 
    Appare cosi' palese la violazione, da parte del decreto-legge  n.
138/2011 e della legge di conversione n. 148/2011, degli artt. 70, 76
e 77 Cost. attraverso  l'utilizzo  di  un  procedimento  parlamentare
particolare  (la  conversione  in  legge   del   decreto-legge)   per
raggiungere finalita' prive di qualsiasi riferimento all'urgenza  del
provvedere che avrebbe dovuto realizzarsi attraverso il  procedimento
legislativo ordinario ponderato, visto anche il carattere di  riforma
di  sistema  che  connota  il  provvedimento  de  quo,  inerente   la
riorganizzazione degli uffici giudiziari del Paese. 
    Tra l'altro, l'illegittimita' della procedura adottata  nel  caso
di  specie  e'  stata  piu'  volte  censurata  dai  Presidenti  della
Repubblica. Ultima in  ordine  cronologico  la  lettera  inviata  nel
febbraio 2011 dal Presidente Napolitano ai Presidenti delle Camere  e
al  Presidente  del  Consiglio,  nella  quale   il   «Garante   della
Costituzione» ha assunto una posizione netta circa l'approvazione  di
leggi di conversione che riscrivono i decreti-legge: «molte di queste
disposizioni  aggiunte  in  sede   di   conversione   sono   estranee
all'oggetto quando non alla stessa materia del decreto, eterogenee  e
di  assai  dubbia  coerenza  con  i  principi  e   le   norme   della
Costituzione. E' appena il caso  di  ricordare  che  questo  modo  di
procedere, come ho avuto modo in diverse occasioni  di  far  presente
fin dall'inizio del  settennato  ai  Presidenti  delle  Camere  e  ai
Governi che si  sono  succeduti  a  partire  dal  2006,  si  pone  in
contrasto con i principi sanciti dall'art. 77  della  Costituzione  e
dall'art. 15, comma 3 della legge di attuazione costituzionale n. 400
del 1988 recepiti dalle stesse norme  dei  regolamenti  parlamentari.
L'inserimento nei decreti di disposizioni non strettamente  attinenti
ai loro  contenuti,  eterogenee  e  spesso  prive  dei  requisiti  di
straordinarieta' necessita' e urgenza,  elude  il  vaglio  preventivo
spettante al Presidente della Repubblica in sede  di  emanazione  dei
decreti-legge. Inoltre l'eterogeneita' e l'ampiezza delle materie non
consentono a tutte le  commissioni  competenti  di  svolgere  l'esame
referente richiesto dal primo comma dell'art. 72 della costituzione e
costringono la discussione da parte di entrambe le camere nel termine
tassativo di 60 giorni. Si aggiunga che  il  frequente  ricorso  alla
posizione della questione di fiducia realizza una  ulteriore  pesante
compressione del ruolo del Parlamento». 
C) Illegittimita' costituzionale della legge di  conversione  n.  148
del 2011, art. 1 comma 2 e ss.: per violazione art. 70 e 72 commi  1°
e 4° Cost.. 
    Com'e' noto, l'art. 72 4° comma Cost. impone  per  i  disegni  di
legge di delegazione legislativa il ricorso alla  «procedura  normale
di esame e di approvazione diretta da parte della  Camera»,  che,  ai
sensi  del  1°  comma  della  norma  consiste  nel  previo  esame  in
commissione (sede referente) e successivo passaggio in Aula, dove  il
disegno viene  approvato  «articolo  per  articolo  e  con  votazione
finale». 
    Sul punto appare di pregnante rilievo la Circolare del Presidente
del Senato in data 10 gennaio  1997,  ove,  in  tema  di  istruttoria
legislativa  nelle  commissioni,  ha  affermato:  «l'art.  72   della
Costituzione prevede che ogni disegno di legge sia esaminato  da  una
Commissione prima di esser sottoposto al  vaglio  dell'Assemblea.  La
procedura in sede referente insieme  con  l'attivita'  consultiva  ad
essa collegata costituisce percio' la fase  istruttoria  obbligatoria
del procedimento legislativo. I principi che regolano tale fase  sono
differenziati da quelli propri delle procedure deliberanti, le  quali
sono dirette alla definitiva approvazione del testo  legislativo.  La
fase istruttoria e',  invece,  finalizzata  alla  acquisizione  degli
elementi utili alla decisione e  alla  conseguente  elaborazione  del
testo  per  consentire  la  deliberazione  dell'Assemblea.  In  vista
dell'adempimento di  tale  compito,  l'esame  in  sede  referente  e'
caratterizzato  dalla  flessibilita'  e  dalla   informalita'   della
procedura in contrapposizione con la  rigidita'  propria  delle  fasi
deliberanti». 
    Sul punto autorevole dottrina ha  insegnato  che  «rimane  fermo,
comunque,  che  sarebbe  violata   una   norma   costituzionale   sul
procedimento legislativo se venisse omessa  l'attivita'  preparatoria
sul   procedimento   legislativo»   (cosi'   L.   Elia,   Commissioni
parlamentari, in Enc. Dir. 1960, Milano Giuffre', pag. 899). 
    La delega al Governo per la riorganizzazione della  distribuzione
sul territorio degli uffici giudiziari e' stata  approvata  in  prima
lettura al Senato della  Repubblica  il  7  settembre  2011,  durante
l'iter del procedimento di conversione in legge del decreto-legge  n.
138/2011; il procedimento legislativo  si  e'  poi  concluso  con  la
successiva deliberazione della Camera  dei  Deputati  ed  entrambi  i
passaggi parlamentari sono stati  caratterizzati  dal  fatto  che  il
Governo ha posto la questione di fiducia. 
    In particolare, al Senato, il Governo ha presentato l'emendamento
1900 interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge
n. 2887 ponendovi la questione di fiducia; nel detto  emendamento  e'
stato stravolto il  testo  del  decreto-legge  originario,  e'  stato
modificato il titolo dell'originario disegno di  legge  ed  e'  stata
introdotta la delega al Governo in tema di geografia giudiziaria. 
    Orbene, una semplice lettura  del  resoconto  stenografico  della
seduta d'aula del Senato del 7 settembre 2011 consente  di  censurare
come non conforme al disposto dell'art. 72 1° e 4° comma Cost. l'iter
legislativo seguito dalla Camera de qua. 
    In particolare  dal  resoconto  della  seduta  della  commissione
Bilancio  del  7  settembre  2011,  emerge   inconfutabilmente   come
l'emendamento in questione  sia  stato  presentato  in  Aula  per  la
discussione senza previo passaggio nella  competente  Commissione  in
sede referente (Giustizia), ivi  sia  stato  votato  unitamente  alla
fiducia e sia stato successivamente trasmesso alla  sola  commissione
Bilancio per il parere circa i profili di copertura  finanziaria.  Si
legge  infatti  nel  predetto  resoconto  come  il  Presidente  della
Commissione abbia informato che «durante la discussione in  Assemblea
del disegno di legge n. 2887, recante ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione  finanziaria  e  per  lo  sviluppo,  il  Governo   ha
presentato l'emendamento n. 1900 sul quale ha posto la  questione  di
fiducia. L'emendamento stesso e' stato trasmesso dal  Presidente  del
Senato affinche', in relazione all'art. 81 della Costituzione  e  nel
rispetto delle prerogative costituzionali del Governo la  commissione
bilancio possa informare l'assemblea circa  i  profili  di  copertura
finanziaria». 
    Il procedimento cosi' delineato viola le previsioni dell'art.  72
1° comma Cost. In tema di legge ordinaria e si  risolve  altresi'  in
una violazione dell'art. 72 4°  comma  Cost.,  che  impone,  come  si
detto, l'iter ordinario per i disegni  di  legge  contenenti  deleghe
legislative al Governo. Una diversa conclusione finirebbe svuotare di
contenuto lo stesso art. 72 4° comma Cost. consentendo di aggirare ad
libitum  la  riserva  di  legge  formale  e  di   fatto   consentendo
un'indebita sovrapposizione tra delegante e delegato (in dottrina  v.
A. Manzella,  Il  Parlamento,  Bologna,  il  Mulino,  2003,  353,  G.
Piccirilli, L'emendamento nel  processo  di  decisione  parlamentare,
Padova, Cedam 2008, 292). 
    Sul  punto  si  era  espresso  anche  l'allora  Presidente  della
Repubblica Ciampi, in occasione del  suo  messaggio  di  rinvio  alle
Camere della legge delega sulla riforma dell'ordinamento  giudiziario
(16 dicembre 2004), ove ritenne  opportuno  «richiamare  l'attenzione
del Parlamento su un modo di legiferare - invalso da tempo - che  non
appare  coerente  con  la  ratio  delle  norme   costituzionali   che
disciplinano il procedimento legislativo e, segnatamente, con  l'art.
72 della Costituzione, secondo cui ogni legge deve  essere  approvata
articolo per articolo e con una votazione finale». 
D) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 co.  2  della  legge  di
conversione e di delega n. 148 del 2011:  violazione  artt.  3  e  24
Cost. 
    Il decreto-legge n. 138/2011 (come modificato dalla L.  148/2011)
pone un procedimento di revisione integrale della spesa pubblica  che
concerne anche la «razionalizzazione dell'organizzazione  giudiziaria
civile, penale, amministrativa, militare e tributaria a rete»,  e  la
previsione dell'ampia delega sulla  geografia  giudiziaria  prescinde
completamente da quel  procedimento  previsto  e  disciplinato  dalla
stessa L. 148/2011 (e  da  questa  introdotto  nel  decreto-legge  n.
138/2011). 
    In realta' lo scopo del previsto risparmio della  spesa  pubblica
con la riduzione della geografia giudiziaria  appare  irrazionalmente
perseguito con la previsione di risparmi ondivaghi  che  non  tengono
conto dei costi diretti e indiretti (recentemente riconosciuti  dallo
stesso Ministero) ben maggiori  derivanti  dall'operazione  posta  in
essere con la chiusura d'ogni singolo ufficio giudiziario (spese  per
traslochi, indennita' magistrati, reperimento nuove sedi, ...). 
    Un'altra  distorsione  insita   nella   disposizione   normativa,
riguarda il dato prettamente  sostanziale  di  uno  dei  fondamentali
criteri sottesi alla manovra, tale da porsi in  verosimile  contrasto
sia con i profili di ragionevolezza ed uguaglianza di cui all'art.  3
Cost.  sia  con  i  principi  tesi   ad   assicurare   l'effettivita'
dell'esercizio del diritto difensivo ex art. 24 Cost.. 
    Difatti, il  legislatore  (rectius:  il  Governo)  ha  scelto  di
concentrare  il  riordino  degli  uffici  giudiziari   sulle   citta'
capoluogo di provincia (art. 1 lettera a), dimenticando tuttavia  che
tali centri non assicurano la necessaria  «centralita'»  rispetto  al
territorio di riferimento, accentuando il rischio (anzi, la certezza)
che  grandi  territori  possano  venire  a   trovarsi   completamente
sprovvisti  di  uffici  giudiziari.  Una  concentrazione   nel   solo
capoluogo di  provincia  porta  inevitabilmente  alla  produzione  di
fenomeni di grave disagio per i cittadini, con conseguente  «denegata
giustizia»,    considerato    che,    secondo    la    giurisprudenza
costituzionale, l'oggettiva difficolta' di esercizio  di  un  diritto
equivale a negazione del medesimo. 
    Sempre sul criterio di cui all'art. 1 comma  2°  lettera  a)  sia
consentito, ancora, censurare l'ondivago e irrazionale  comportamento
del legislatore, laddove impone di mantenere in vita i  Tribunali  di
capoluoghi  di  province  che  con  lo  stesso  decreto  si  vanno  a
sopprimere (definitivamente sancita con il decreto-legge n. 188 del 5
novembre 2012) e non a  caso  menzionati  nella  disposizione  teste'
censurata con espresso riferimento alla data del 30 giugno 2011. 
    Altrettante censurabili conseguenze sono  derivate  dal  criterio
indicato nell'art. 1 lett. f) legge-delega, secondo  cui  la  manovra
deve «garantire che, all'esito degli interventi di  riorganizzazione,
ciascun  distretto  di  Corte  d'Appello,  incluse  le  sue   sezioni
distaccate, comprenda non meno di tre  degli  attuali  Tribunali  con
relative Procure della Repubblica». 
    La presenza di almeno tre Tribunali a prescindere dall'estensione
del Distretto, della Regione e dalla relativa popolazione nonche' dei
carichi  di  lavoro  e  delle  sopravvenienze,  pone  una  palese   e
potenziale disparita' di trattamento, laddove una  qualsiasi  Regione
avente nel  relativo  distretto  di  Corte  d'Appello  tre  Tribunali
mantiene tale numero di Uffici a prescindere  dalla  sua  estensione,
popolazione, cause  pendenti  e  dove  il  medesimo  numero  potrebbe
coincidere anche per Regioni piu' estese e con maggiore  popolazione,
ledendo i principi di uguaglianza e  proporzionalita'  che  avrebbero
dovuto sottendere l'esplicazione dei criteri direttivi. 
    Gli effetti nefasti ed irrazionali dell'applicazione della  norma
non possono esser taciuti. Si pensi a casi estremi, come il Piemonte,
che sconta il fatto di avere una sola Corte di Appello in uno con  la
Valle d'Aosta, a fronte di una popolazione complessiva  di  4.585.856
abitanti (dati censimento Istat 2011) e si ritrova,  conseguentemente
a spartire la Provincia di Torino (popolazione  circa  2.210.000)  in
soli due Tribunali (di cui Torino, tribunale metropolitano con  circa
1.700.000 utenti). A  contrariis  si  pensi  alla  Sicilia,  che  con
quattro Corti di Appello mantiene ben 16 tribunali o  al  Molise  che
(sempre grazie alla cd. «regola del tre») spartisce in tre  tribunali
un territorio di soli 319.780 abitanti. 
    Da ultimo si evidenzia come il criterio di cui alla  lettera  f),
le cui incongruenze sono immediatamente percepibili alla sola lettura
dei Tribunali rimasti in vita comprendenti realta' di poche  migliaia
di abitanti a fronte di soppressioni  clamorose  quali  quella  degli
Uffici Giudiziari di Pinerolo  e  lo  stesso  criterio  di  cui  alla
lettera a) - che consente il «salvataggio» in maniera aprioristica  i
Tribunali sede di capoluogo di provincia indipendentemente dalle loro
dimensioni come sopra considerate - si ponga in contrasto  con  altri
ben  piu'  razionali  principi  contenuti  nella  legge  stessa   che
impongono  di  «ridefinire...  l'assetto  territoriale  degli  uffici
giudiziari secondo criteri oggettivi ed omogenei  che  tengano  conto
dell'estensione  del  territorio,  del  numero  degli  abitanti,  dei
carichi  di  lavoro  e  dell'indice   delle   sopravvenienze,   della
specificita' territoriale del bacino di  utenza  anche  con  riguardo
alla  situazione  infrastrutturale  e  del  tasso   di   criminalita'
organizzata ecc...». L'incongruenza tra le disposizioni della  delega
rende  (ed  ha  di  fatto  reso)  impossibile  per  il  delegato   il
perseguimento   dello   scopo   principale,   ovvero    una    giusta
riorganizzazione sul territorio degli uffici giudiziari «al  fine  di
realizzare risparmi di spesa e incrementi di efficienza». 
    In ultima analisi la legge medesima, nel dettare criteri tra loro
incompatibili, evidenzia la  sua  intrinseca  irragionevolezza  e  il
conseguente vulnus del diritto di difesa del cittadino. 
E) Illegittimita' costituzionale  dell'art.  co.  2  della  legge  di
conversione e di delega L. n. 148 del 2011 e del decreto  legislativo
n. 155/2012: violazione ed elusione dell'art. 81 Cost.. 
    L'art. 81 della Costituzione, prima della riforma intervenuta con
legge costituzionale 20 aprile 2012 n. 1, stabiliva che  «ogni  altra
legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare  i  mezzi  per
farvi fronte» (4° comma). 
    L'art. 81 della Costituzione nuova stesura prescrive: «ogni legge
che importi nuovi o  maggiori  oneri  provvede  ai  mezzi  per  farvi
fronte». 
    La normativa costituzionale si preoccupava e si preoccupa che  il
Parlamento, quando approvi una legge, consideri ed  indichi  i  mezzi
per  dare  ad  essa  attuazione,  per  il  necessario  equilibrio  di
bilancio, oggi richiesto  in  modo  piu'  rigoroso  a  seguito  delle
prescrizioni dell'Unione europea, tradotte nella legge costituzionale
20 aprile 2012 n. 1 che ha sostituito, con l'art.  1,  il  precedente
testo dell'art. 81. 
    E'  in  possibile  violazione   o,   comunque,   elusione   delle
disposizioni costituzionali  una  legge  la  quale  affermi  che  non
derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica,  pur
essendo tali spese necessarie per l'attuazione della legge e, quindi,
non provvedendo sui mezzi per farvi fronte. 
    L'art. 1, comma 2, lett. q), della L. 14 settembre 2011,  n.  148
prevede: «dall'attuazione delle disposizioni di cui al presente comma
non devono derivare nuovi o maggiori oneri  a  carico  della  finanza
pubblica». 
    L'art. 10 del decreto  legislativo  n.  155/2012,  («Clausola  di
invarianza»), recita: «Dal presente provvedimento non devono derivare
nuovi  o  maggiori   oneri   a   carico   della   finanza   pubblica.
All'attuazione  si   provvede   nell'ambito   delle   risorse   umane
strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente». 
    Quest'ultima previsione gia' in  se'  appare  contrastare  e  non
osservare le prescrizioni della delega. 
    In ogni caso sussiste un  apprezzabile  fumus  di  violazione  o,
comunque, di elusione dell'art. 81 della Costituzione da parte  della
L. n. 148/2011 e del decreto legislativo  n.  155/2012,  sia  per  il
precedente 4° comma che per l'attuale 3° comma, ovvero  con  riguardo
alla primigenia che attuale formulazione. E cio' perche': 
    a) il solo spostamento dei fascicoli dai Tribunali soppressi (nel
caso di specie da Pinerolo a Torino) ai Tribunali accorpanti richiede
l'utilizzo, quanto meno, di mezzi di trasporto e  di  personale,  che
non  sono  in  dotazione  agli  uffici  giudiziari,  con  conseguente
esternalizzazione ed appalto del servizio; 
    b) bisogna  trasferire  mobili,  computer,  suppellettili,  altri
oggetti d'ufficio necessari per le cancellerie e per i magistrati  ed
anche qui il trasporto dei beni non potra' avvenire con il  personale
presente negli uffici giudiziari ed i mezzi  in  loro  dotazione,  ma
corrispondendo l'importo  per  lo  svolgimento  di  questo  servizio;
l'alternativa e'  procedere  a  nuovi  acquisti  che,  evidentemente,
richiedono nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica; 
    c) sono indispensabili interventi  edilizi  sulle  strutture  che
devono ricevere il personale degli uffici giudiziari soppressi ovvero
l'individuazione di altre strutture edilizie; 
    d) sara' necessario operare interventi per mettere in rete  tutti
i  computer  e  procedere  alla  messa  in  rete  di  tutti  i  dati,
potenziando il sistema informatico; 
    e) occorrera' che le finanze pubbliche sopportino (in aggiunta  a
quanto spese sino ad ora) le indennita' di  trasferimento  dovute  ex
lege ai magistrati che entrano a far parte dell'organico degli Uffici
Giudiziari accorpanti, qualora  ricorrano  le  condizioni  di  legge;
l'art. 5 del decreto legislativo  n.  155/2012  prevede  infatti:  «I
magistrati assegnati agli  uffici  giudiziari  soppressi  entrano  di
diritto a far parte dell'organico dei tribunali e delle procure della
Repubblica cui sono trasferite le  funzioni,  anche  in  soprannumero
riassorbibile con le successive vacanze. I magistrati che  esercitano
le funzioni, anche in via non esclusiva, presso le sezioni distaccate
soppresse si intendono assegnati alla sede principale del  tribunale.
I magistrati gia' assegnati  a  posti  di  organico  di  giudice  del
lavoro, nei tribunali divisi in sezioni  fanno  parte  della  sezione
incaricata della trattazione delle controversie in materia di  lavoro
e di previdenza e assistenza obbligatorie. 2. L'assegnazione prevista
dal comma 1 non costituisce assegnazione ad altro ufficio giudiziario
o destinazione ad altra sede ai sensi dell'art. 2, terzo  comma,  del
regio decreto legislativo 31 maggio 1946,  n.  511,  ne'  costituisce
trasferimento ad  altri  effetti  e,  in  particolare,  agli  effetti
previsti dall'art. 194 del regio decreto 30 gennaio 1941,  n.  12,  e
dall'art. 13 della legge  2  aprile  1979,  n.  97,  come  sostituito
dall'art. 6 della legge 19 febbraio 1981, n. 27. Sono tuttavia  fatti
salvi i diritti attribuiti dalla legge 18 dicembre 1973,  n.  836,  e
dalla legge 26 luglio 1978, n. 417, alle  condizioni  ivi  stabilite,
nel caso di fissazione  della  residenza  in  una  sede  di  servizio
diversa da  quella  precedente  determinata  dall'applicazione  delle
disposizioni  del  presente  decreto».  La  relazione   tecnica   che
accompagna lo schema di decreto legislativo non puo'  non  menzionare
del tutto tale aspetto, pertanto nel suo  ultimo  periodo  si  legge:
«Per quanto riguarda le spese  per  indennita'  di  trasferimento  si
applicano  le  norme  che   a   legislazione   vigente   regolano   i
trasferimenti a richiesta dell'Amministrazione e pertanto alle stesse
si fa fronte nel limite degli ordinari stanziamenti di  bilancio  che
recano adeguate disponibilita'». Locuzione  che  riconosce  le  spese
aggiuntive per le indennita' (e solo per tale voce di spesa),  i  cui
costi non  vengono  nemmeno  preventivati,  tanto  che  l'indicazione
generica  innanzi  riportata  non  puo'  certo  ritenersi   realmente
indicante i mezzi per farvi fronte, secondo quanto previsto dall'art.
81 Cost., riferendosi agli  ordinari  stanziamenti  di  bilancio  che
recano adeguate disponibilita' (?!). 
    Ma la L. n. 148/2012 non aveva  imposto:  «dall'attuazione  delle
disposizioni di cui al presente comma non  devono  derivare  nuovi  o
maggiori oneri a  carico  della  finanza  pubblica»?  La  domanda  e'
retorica. La risposta impone di dichiarare il  mancato  rispetto  dei
principi della legge  delega,  con  palese  violazione  dell'art.  76
Cost., e nel contempo la violazione dell'art. 81 c.4a'  Cost.,  posto
che con il provvedimento di  revisione  della  geografia  giudiziaria
s'impongono nuove e maggiori spese  senza  provvedere  ai  mezzi  per
farvi fronte. 
    Questi sono costi e spese che si rilevano in via di primo acchito
e ad un esame anche solo superficiale, ma certamente  vi  sono  altre
voci che facilmente un esperto potra'  individuare  e  che  certo  il
ministero  avrebbe  dovuto  individuare   e   conteggiare,   rendendo
trasparente (e veritiera) l'operazione. 
    Per il caso di Torino si pensi che l'attuale Palazzo di Giustizia
«Bruno Caccia» non e' in grado di  ospitare  tutti  gli  uffici  gia'
presenti ante riforma decreto legislativo n. 155/2012, tanto da  aver
gia' trasferito gli uffici UNEP e parte dell'archivio  presso  locali
reperiti presso gli immobili Ex  Carceri  Nuove,  traslochi  eseguiti
proprio  nel  2012.  E'  di  tutta  evidenza  che  l'allocazione  del
personale  amministrativo  e  dei  magistrati  della  Procura  ed  il
Tribunale di Pinerolo, cosi' come dei fascicoli degli arredi e  delle
strumentazioni,  alle  quali   si   sommano   magistrati,   personale
amministrativo, fascicoli,  arredi  e  strumentazioni  delle  sezioni
distaccate di Susa e di Moncalieri soppresse ed aggregate  a  Torino,
comportera' necessariamente il reperimento di  nuovi  locali  (con  i
relativi  costi)  e/o   l'esecuzione   di   lavori   che   consentano
effettivamente l'accorpamento d'organico, dei fascicoli  e  dei  beni
strumentali. 
    Come ha potuto la legge delega affermare che non derivino  «nuovi
o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»? 
    L'analisi dell'impatto  della  regolamentazione  (AIR),  allegata
alla relazione del Governo alle commissioni parlamentari, a  pag.  5,
sezione n. 5 lett. E) (v. all. n. 10), rileva che  «l'attuazione  del
provvedimento non comporta nuovi o  maggiori  oneri  a  carico  della
finanza pubblica e di  possibili  fattori  incidenti  sulla  regolare
attuazione del provvedimento (essenzialmente  quelli  concernenti  le
possibili carenze di adeguamento logistico degli  uffici  accorpanti)
possono essere superati nel tempo, anche grazie ai risparmi di  spesa
ed alla ottimizzazione delle risorse, e comunque sono  fronteggiabili
nell'immediato con l'attuazione di specifiche disposizioni in materia
di edilizia giudiziaria». 
    Anche l'analisi eseguita dal Ministero della Giustizia  non  puo'
nascondere che ci  saranno  spese  legate  all'adeguamento  logistico
degli uffici  accorpanti,  che  richiedono  specifico  impegno  nella
legge, tuttavia non si capisce cosa possa significare che tali  oneri
vengano affrontati «con l'attuazione di  specifiche  disposizioni  in
materia di  edilizia  giudiziaria»,  ne'  e'  accettabile  sul  piano
costituzionale che maggiori oneri possano essere coperti con previsti
e non certi risparmi di spesa, legati a una serie di elementi. 
    L'analisi dell'impatto  della  regolamentazione,  pero',  nemmeno
accenna e trascura del tutto le indispensabili spese  necessarie  per
gli adempimenti innanzi indicati sub lettere a), b), d) ed e). 
    Ma v'e' di piu!  L'analisi  dell'impatto  della  regolamentazione
(AIR) (oltre a tralasciare tutti gli aspetti di esternalizzazione dei
costi  che  ricadranno  direttamente  sui  cittadini,  sul  personale
amministrativo e sul ceto forense per i disagi e le spese  aggiuntive
che dovranno affrontare) afferma che comportera' maggiori vantaggi in
termini  di  economicita'  secondo  il  dettaglio   riportato   dalla
relazione tecnica allegata allo schema di decreto  legislativo.  Tale
dettaglio nella menzionata relazione e'  del  tutto  inesistente  (v.
all. 11). 
    Sempre nell'AIR si legge  nel  paragrafo  B)  che  i  complessivi
risparmi di spesa saranno pari a:  € 2.889.597  per  l'anno  2012,  €
17.337.581 per l'anno 2013, € 31.358.999 per l'anno 2014, determinati
con riferimento alle sole spese di gestione e  delle  strutture,  con
esclusione    delle    spese     incomprimibili     del     personale
dell'amministrazione giudiziaria, personale per il quale e'  prevista
la riallocazione in uffici di maggiori dimensioni. 
    Le   somme   indicate    senza    riscontro    alcuno    appaiono
incomprensibili. Non solo. Vien spontaneo domandare da dove  derivino
i risparmi di spesa per il 2012 posto che la riforma avra'  efficacia
dal 13 settembre 2013 (!!!) e come possano conteggiarsi i risparmi di
gestione considerato che anche per questa  voce  di  spesa  non  puo'
giungersi ad un azzeramento (posto che il personale dovra' utilizzare
strumentazioni comportanti spese per utenze insopprimibili -  energia
elettrica,  linee  telefoniche  ecc.  -),   per   non   parlare   poi
dell'insufficiente  edilizia  giudiziaria  delle  sedi  accorpanti  e
comunque della necessita' d'adeguamento delle stesse con  i  relativi
costi. 
    La  violazione  dell'art.  81  della  Costituzione   (nelle   due
formulazioni) apre a spese non previste e  alle  voragini  nei  conti
pubblici. Anche sotto  questi  aspetti,  la  legge  delega  e  quella
delegata paiono verosimilmente incostituzionali. 
    In conclusione, va rilevato che  tutti  i  profili  di  possibile
illegittimita' costituzionale della legge delega  (art.  1  legge  n.
148/2011) si riverberano sul decreto legislativo delegato n. 155  del
7 settembre 2012) che da tale provvedimento  trae  esistenza  [e  che
tuttavia  presenta  specifici  vizi   suoi   propri   relativi   alla
soppressione degli uffici giudiziari di  Pinerolo]  alla  luce  delle
osservazioni svolte. 
4. Rilevanza delle questioni. 
    Le questioni sollevate appaiono rilevanti nel giudizio a quo, dal
momento che le stesse investono  la  normativa  dalla  quale  dipende
l'individuazione del giudice (Tribunale di Torino ovvero Tribunale di
Pinerolo) avanti al quale dovrebbe essere rinviato il processo penale
per la sua prosecuzione. 
    In particolare lo scrivente - come risulta dal verbale di udienza
- deve fare applicazione  dell'art.  9  del  decreto  legislativo  n.
155/2012 in combinato disposto con l'art. 1 in relazione alla tabella
A) per rinviare il processo avanti al Tribunale  di  Torino;  secondo
l'art. 9, infatti, le udienze successive al 13 settembre 2013  devono
tenersi avanti al  nuovo  giudice  competente,  nello  specifico,  il
Tribunale di Torino, risultando il  Tribunale  di  Pinerolo,  a  tale
data, soppresso in base all'art. 1; se, invece,  se  le  disposizioni
della legge delega e del decreto legislativo non saranno riconosciute
conformi  alla  Costituzione,  l'udienza  dovrebbe  essere  celebrata
avanti a questo ufficio giudiziario. 
    Le questioni di costituzionalita' sollevate, pertanto, si pongono
in  rapporto  di  pregiudizialita'  rispetto  all'individuazione  del
giudice chiamato a definire l'attuale processo penale  e  davanti  al
quale il processo deve essere rinviato all'individuata udienza del 1°
ottobre 2013.